Mi presento, sono Alex, sono nel fiore dei miei vent'anni. Dopo la maturità in informatica ho viaggiato all'estero per lavoro. Sono andato anche a Sofia, in Bulgaria, a lavorare nelle risorse umane di una multinazionale. Dopo pochi mesi, però, ho contratto il Covid-19, che mi ha impedito di terminare il periodo di prova precludendomi la grande occasione di mettermi in gioco e dimostrare le mie abilità.
Tutto iniziò in un freddo 26 dicembre 2020, quando telefonai alla mia famiglia dicendole che avrei chiamato l’ambulanza a causa delle gravi condizioni di salute. Fui subito ricoverato all'Accademia Militare di Sofia per via delle gravi difficoltà respiratorie, ma la situazione si era aggravata ulteriormente nella notte successiva e fui trasferito d'urgenza in Rianimazione.
Mia mamma, dall’Italia, ricevette una telefonata dall’Ambasciata rumena in Bulgaria in cui le venne data la notizia. Preoccupata, lei prenotò l'unico volo disponibile, ma giunta in ospedale, dovette fare i conti con i rigidi protocolli medici: per due mesi non mi ha potuto vedere, sia per le restrizioni causate dal virus, sia per scelta dei medici che la mettono in guardia del crollo psicologico alla vista di me in quello stato. Il virus, infatti, mi provocò reazioni assurde: caduta dei capelli, infezione ai polmoni, pancreatite, ascite, duodenite e serie complicazioni cardiache. Tutto degenerò in una sepsi. I medici mi praticarono addirittura una tracheotomia. Solo le condizioni cerebrali sono rimaste immutate.
Costretta ad attendere fuori dall'ospedale, mia mamma pregava i medici di salvarmi dalla morte quasi inevitabile. Così inevitabile che una sera lo staff medico la chiamò per dirle di organizzare i servizi funebri perché non avrei superato la nottata. Alla fine ce l’ho fatta e, dopo altro tempo, sono stato finalmente trasferito al reparto di Chirurgia toracica e ho potuto finalmente rivedere mia mamma.
Là finalmente le mie condizioni, finalmente, iniziarono a migliorare e fui dimesso dall'ospedale. La malattia, però, ha lasciato strascichi pesanti: sono stato come un neonato che non riusciva a camminare e a nutrirsi autonomamente, ero completamente atrofizzato.
Ritorno in Italia e inizio la riabilitazione in una casa di cura per quasi altri due mesi. Al termine del ricovero non mi ero ancora ripreso del tutto, ma ero di nuovo sulle mie gambe.
Oggi, nonostante le conseguenze del virus, mi sono ripreso così bene da rendere quasi invisibile il mio passato a chi è ignaro della mia storia. Vorrei sottolineare che tutto ciò sia un’eccezione rispetto alla media delle persone che nelle stesse condizioni o sono morte o sono ancora allettate anche dopo tutto questo tempo. Grazie infinite a tutti voi dell’attenzione!
( Alex - IESTV.TV )
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