
A Manaus in Amazzonia, Riccardo Rella, trentino e antropologo, sviluppa la sua tesi di laurea in quest'area remota del mondo sul comportamento della popolazione indigena di fronte alla diffusione del Covid-19. Dal 2015 in Brasile, Rella si racconta a MondoTrentino, il portale dell’Ufficio emigrazione della Provincia autonoma di Trento nel consueto appuntamento dedicato ai “nuovi” corregionali all’estero.
Di seguito il testo integrale dell’intervista.
“D. Chi sei e da dove vieni?
R. Mi chiamo Riccardo Rella, sono nato a Rovereto e dal settembre 2015 vivo in Brasile. A San Paolo per i primi due anni e mezzo e dal 2018 mi sono trasferito a Manaus.
D. Qual è stato il tuo percorso di studi?
R. Dopo il liceo scientifico a Rovereto mi sono trasferito a Bologna dove ho fatto la laurea triennale in Filosofia e, successivamente, la specialistica in Antropologia Sociale ed Etnologia. Per la laurea specialistica ho fatto il mio studio di campo a Pemba, in Tanzania, analizzando il sistema di salute pubblico locale e come viene usato e percepito dalla popolazione locale. Questa specializzazione in campo medico mi ha fatto interessare alle interazioni tra la biomedicina occidentale e le medicine tradizionali, e con questo obiettivo ho passato la selezione per il dottorato all’Università dell’Amazzonia (UFAM). L’obiettivo della mia tesi sarà quello di documentare come la popolazione indigena urbana di Manaus ha reagito all’ondata epidemica di COVID, e quanto abbia fatto ricorso alla medicina tradizionale.
D. Dove vivi ora e cosa fai?
R. Attualmente vivo a Manaus, e sono dottorando in Antropologia Sociale alla Universidade Federal do Amazonas, o UFAM come viene chiamata più frequentemente.
D. Manaus è una metropoli alle porte della foresta Amazzonica in Brasile, cosa ti piace maggiormente della vita là e cosa meno, che diverse caratteristiche hai riscontrato rispetto ad altre zone del mondo?
R. Manaus ha certamente caratteristiche uniche, vista la sua natura di metropoli interamente circondata da foresta e praticamente senza nessun collegamento diretto via terra con altre capitali statali del Brasile. La possibilità di fare un’escursione in piena foresta un qualunque fine settimana, o poter visitare villaggi di indigeni poco fuori dalla città sono solo alcune delle cose uniche che si possono fare a Manaus.
Ha un fascino molto forte, senza dubbio, ma è anche una città estremamente difficile. Per prima cosa la sua peculiarità è anche un suo problema, visto che le comunicazioni con il resto della nazione possono essere fatte solo via aerea o viaggiando in barca lungo i fiumi locali (Rio delle Amazzoni principalmente, ma anche il Rio Negro, che porta in Colombia), risultando molto più costoso muoversi di praticamente tutte le città principali del Brasile. E poi la sua posizione nel cuore della foresta amazzonica rende Manaus uno snodo centrale di numerosi traffici illeciti che avvengono nell’area, dal legname tagliato in aree protette all’estrazione illegale di oro e minerali pregiati, senza dimenticare la cocaina, che arriva direttamente dall’Amazzonia colombiana.
Quindi è una città interessantissima, soprattutto per chi, come me, ha interessi di ricerca in Antropologia, o in Biologia, ma sicuramente non è un posto per tutti.
D. Da quanto tempo vivi a Manaus e ci rimarrai fino a quando?
R. Sono a Manaus dal luglio del 2018, e sicuramente resterò qui fino alla fine del dottorato, che sarà tra marzo e settembre del 2023.
D. Pensi di ritornare in Italia o comunque muoverti altrove, oppure?
R. Sinceramente non so dire se tornerò in Italia in maniera definitiva nel futuro prossimo immediato. Cercherò di vedere quali opportunità di lavoro si apriranno qui in Brasile e se sarà necessario mi sposterò da Manaus ad un’altra città, ma credo che perlomeno nell’immediato cercherò di vivere ancora qui in Brasile dopo la fine del mio dottorato.
D. Hai una compagna a Manaus, ce ne vuoi parlare?
R. Sì, è una collega di dottorato conosciuta durante le lezioni, si chiama Ianna. Lei lavora con le organizzazioni femminili dei movimenti dei “sem terras”, tra i più poveri del Brasile. Stiamo insieme da circa due anni e abbiamo l’intenzione di costruire una relazione duratura. Vedremo nel tempo se vivere a Manaus o provare a trasferirci in un’altra città se non ci saranno opportunità di lavoro in Amazzonia.
D. Stai facendo un dottorato su un tema in particolare, che è anche la ragione per cui ti sei trasferito a Manaus, ce ne vuoi parlare?
R. L’argomento della mia tesi di dottorato avrebbe dovuto essere la relazione tra biomedicina occidentale e medicine tradizionali tra la popolazione indigena urbana di Manaus, ma con la pandemia di COVID esplosa poco più di un anno dopo l’inizio della mia ricerca ho cambiato obiettivo di ricerca. Attualmente l’obiettivo è quello di documentare come gli indigeni che vivono in città, che spesso soffrono di razzismo, hanno affrontato l’ondata epidemica e quale ruolo le loro medicine tradizionali (parlo al plurale perché sono rappresentate in città per lo meno 30 differenti etnie indigene) abbiano avuto nel trattamento dei malati.
D. Sappiamo che a Manaus la pandemia è stata molto grave, ci puoi raccontare cos’è successo e adesso come va?
R. Il COVID a Manaus è stato disastroso e si può dire senza troppi giri di parole che è una delle prove più evidenti dell’incompetenza dell’attuale governo Bolsonaro nella gestione della crisi. Assieme ad un tasso di contagi estremamente grande, al picco dell’epidemia, tra fine dicembre 2020 ed inizio febbraio del 2021, si è aggiunta una mancanza di ossigeno medico in tutti gli ospedali della città, scarsità segnalata varie volte al Ministero della Salute e regolarmente ignorata dal Governo Federale. Il risultato è stato terribile, con ospedali che non avevano la possibilità di curare i pazienti per mancanza di ventilazione assistita e si è arrivati a somministrare cure palliative e sedazioni profonde per evitare sofferenze inutili.
Dopo la creazione di un ponte aereo per trasferire i malati da Manaus ad altre capitali statali che avessero disponibilità di letti ospedalieri e l’arrivo tardivo di ossigeno medico, la situazione ha iniziato a migliorare progressivamente. Attualmente, per fortuna, la situazione è sotto controllo, soprattutto per il successo della campagna vaccinale che ha avuto un’adesione molto forte.
D. In generale dal Brasile come vedi la situazione europea e in particolare quella italiana in merito alla pandemia?
R. Leggo sempre le notizie italiane, ed a breve tornerò in Italia per Natale. La situazione pare essere in peggioramento e mi preoccupa la quantità di persone contrarie al vaccino, e le modalità di protesta. In Brasile ci sono stati più di 600.000 morti, con situazioni devastanti come quella che ho raccontato di Manaus. E proprio per la gravità della situazione, la popolazione ha capito che il vaccino era l’unica uscita possibile dalla crisi, lo ha chiesto a gran voce e quando finalmente la campagna vaccinale è iniziata è stata molto partecipata, con pochissime manifestazioni contrarie. Spero non si arrivi ad un collasso totale del sistema sanitario nazionale per capire che il vaccino è l’unica opzione per poter uscire da questa situazione.
D. La stampa ne parla?
R. La stampa ha parlato molto della pandemia. I primissimi mesi, tra marzo e giugno del 2020, la pandemia in Italia era un argomento molto ricorrente sulla stampa brasiliana, essendo il numero di contagi in Brasile ancora molto basso. Poi, con l’arrivo della prima onda a San Paolo e Rio de Janeiro, che si è poi espansa al resto del paese, la stampa si è concentrata molto sulla situazione locale.
Attualmente, con il declino di contagi e morti, tutto sembra essere tornato ad una situazione di quasi normalità, sperando che non ci sia un’altra ondata.
D. Vuoi lasciare un messaggio particolare rivolto a tutti i trentini e alla Community di MondoTrentino?
R. Spero di conoscere al più presto le comunità di discendenti trentini del sud del Brasile, appena concluderò il dottorato”.
(aise)
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