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Seminario di Palermo, webinar sugli incentivi di rientro: cosa sono, per chi sono e cosa migliorare?


ROMA – Si è tenuto il sesto appuntamento del Seminario di Palermo valevole per il corso di formazione alla partecipazione giovanile all’estero. L’argomento di questo appuntamento erano gli incentivi di rientro: cosa sono, per chi sono e cosa migliorare. L’evento è stato moderato da Eleonora Medda (componente del CdP del Cgie per l’Europa e l’Africa del Nord). Maria Chiara Prodi (Presidente della VII Commissione tematica del Cgie ‘Nuove migrazioni e generazioni nuove’) ha ricordato come la volontà di creare una rete tra i giovani all’estero e certi strumenti di dialogo servano a chi emigra anche per non sentire la sindrome dell’abbandono e nella fattispecie quale mezzo formativo in preparazione del rinnovo degli organismi rappresentativi come Comites e Cgie. Prodi ha menzionato l’appuntamento della Conferenza Permanente Stato-Regioni-PA-Cgie che è atteso da undici anni e che servirà a tracciare le politiche per l’emigrazione italiana. “Ci teniamo a sottolineare che il lavoro sui rimpatri e sugli incentivi sono un modo per dare un contributo all’Italia anche da fuori, ossia dall’estero, ed è ciò che fanno tutte le realtà attive sui territori che si occupano di queste tematiche”, ha commentato Prodi ricordando infine che l’evento del Seminario del 14 marzo non sarà pubblico mentre il prossimo appuntamento tematico pubblico slitterà quindi al 18 aprile: ospite sarà Piero Bassetti quale Presidente dell’Associazione Globus et Locus.

Federica Daniele (European Evolution) è ricercatrice in ambito di sviluppo territoriale e ha mostrato l’andamento dei trasferimenti annuali per macro-aree dall’Italia all’estero e viceversa, benché a interessare per quantità siano più gli espatri che i rientri sulla base dei dati ufficiali sui cambi di residenza aventi come fonte l’Istat. E’ stato preso come anno base di riferimento il 2002 e le curve mostrano al 2018 un incremento abbastanza forte di espatri dal Mezzogiorno e addirittura di quasi cinque volte dal Centro Nord. L’andamento rileva che tanto la quota di laureati quanto quella di under 45 è cresciuta più o meno di pari passo ma in questo caso più ripidamente per il Mezzogiorno. “Come si può fare per trattenere gli italiani in Italia?”, è la domanda che tanti si pongono e che ha posto anche la ricercatrice ammettendo che anche molte delle persone rientrate per la pandemia, una volta finita l’emergenza, torneranno all’estero. “Le politiche di rinforzo alla domanda del lavoro non sono le uniche perché contano anche la qualità dei servizi e l’esistenza di città accoglienti dal punto di vista del fermento culturale”, ha spiegato Daniele giungendo dalla considerazione ulteriore che gli incentivi finora messi sul tavolo potrebbero non bastare nella misura in cui chi ha avuto esperienze all’estero è magari più propenso a rischiare in campo imprenditoriale e pertanto sarebbero più opportune delle politiche di incentivo al lavoro autonomo. “Il south working è un ulteriore scenario sul quale però al momento non possiamo dire molto”, ha aggiunto la ricercatrice consapevole che molto dipenderà dai cambiamenti strutturali a 360° del settore lavorativo post pandemia o dalla capacità delle città italiane di creare opportunità di co-working.

Jacopo Bassetto ed Edoardo Magalini (Tortuga) si sono occupati da vicino del tema del brain drain, nella consapevolezza che tale fenomeno (la fuga dei cervelli) pur avendo anche una connotazione negativa è in realtà parte del trend generale dei movimenti migratori. “Il brain drain è solo una delle sfaccettature delle migrazioni moderne, benché sia considerata come un asset portante per via di una competizione sempre più aggressiva per la crescita delle economie”, ha precisato Magalini evidenziandone anche l’elemento della circolarità. “Gli expat diventano cervelli in fuga quando il saldo migratorio finisce in rosso; ma anche quanto mancano opportunità lavorative e le retribuzioni sono più basse dell’offerta estera, quindi chi va via lo fa per necessità”, ha sottolineato Magalini delineando il profilo tipico del cervello in fuga per aree di studio: su tutte prevalgono le aree scientifiche e ingegneristiche. Bassetto ha invece spiegato quando il brain drain diventa un problema: si potrebbe dire che lo diventa quando è un fenomeno in continua crescita, quando è fonte di disuguaglianza e quando ha in generale ricadute negative. “Si può trasformarla in opportunità?”, si è chiesto Bassetto evidenziando alcune ricette come l’internazionalizzazione dei nostri talenti e un loro successivo richiamo con formule come ‘master and back’ o sgravi fiscali; l’attrazione di nuovi talenti stranieri per mezzo di ‘blue card’ europea o specifici programmi di visto; infine il trattenimento di talenti stranieri.

Francesco Rossi (Controesodo) attraverso delle schede informative a cura del Gruppo Controesodo ha parlato delle agevolazioni per l’attrazione del capitale umano. Per inquadrare il fenomeno emigratorio italiano si sono utilizzati i dati del Rapporto Migrantes 2020 che registrava in quasi 140 mila unità gli espatri nel 2019. Il 40% degli expat rientra nella fascia compresa tra 18 e 34 anni e si ha fino al 30% di laureati o altamente specializzati. Le maggiori destinazioni sono l’Europa (72%) e l’America (20%). A livello di rimpatri – ha spiegato Rossi – nel 2018 si era cominciato ad intravedere qualcosa a livello regionale: Lombardia, Veneto, Lazio e Sicilia guidavano questa classifica penalizzata però a medio-lungo termine dal mancato radicamento (retention) per cui una quota consistente di persone rientrate grazie solo alle agevolazioni fiscali tende in un secondo momento a ripartire. Rossi ha riepilogato alcune delle principali misure legislative divise per categorie: per i neo-residenti cosiddetti ‘paperoni’ e per i pensionati stranieri ci sono rispettivamente l’art. 24-bis e 24-ter del TUIR; per i lavoratori impatriati c’è il D.lgs 174/2015; per i docenti e i ricercatori c’è il D.lgs 78/2010. Sempre nel 2010 c’è la cosiddetta Legge Controesodo, ossia la legge n. 238. “Il legislatore ha operato in modo ‘additivo’ sacrificando a volte la coerenza e con frequenti modifiche ai testi vigenti e non è sempre facile capire quale normativa si applichi”, ha aggiunto Rossi ricordando poi la più recente legge 34/2019 conosciuta anche come Impatriati 2.0 e parte del Decreto Crescita, a sua volta oggetto di diverse modifiche. Essa modificando la norma del 2015 prevede un’esenzione fiscale del 70% per chi trasferisce la residenza in Italia, quindi pagando l’Irpef solo per un 30%; la soglia dell’esenzione arriva al 90% per chi si trasferisce al Sud. La durata degli incentivi è di norma di cinque anni ma può salire fino ai dieci in caso di presenza di figli o di acquisto di un’abitazione. Per beneficiare degli incentivi bisogna trasferire la residenza fiscale in Italia che deve essere stata estera per i due anni antecedenti e alla condizione che per almeno 183 giorni successivi al trasferimento l’attività lavorativa sia svolta principalmente in Italia. “Le norme sono fatte per attrarre ma poi sono spesso complesse o poco conosciute e anche poco sfruttate: dal 2011 ad oggi ne hanno usufruito 25 mila persone, inclusi coloro che sono tornati all’estero”, ha sottolineato Rossi.

Leonardo Croatto (Cgil) ha ricordato alcuni errori di policy e anche di comunicazione da parte dell’Italia negli anni: per esempio quando nel 2016 si tentò di esibire ai competitor un costo del lavoro specializzato in Italia inferiore rispetto a Germania e Francia, che era però esattamente la molla del ‘push’ ossia ciò che spingeva gli italiani ad andare all’estero per trovare condizioni lavorative migliori. Croatto ha ricordato poi una ricerca del 2014 sul mondo universitario italiano dal quale emergeva che un 45% lasciava l’università nel periodo post-dottorato per insoddisfazione o mancanza di prospettive di crescita mentre un 55% la lasciava perché non c’era più l’assegno di ricerca e si veniva mandati via. “Su cento ricercatori che intraprendevano i percorsi post-laurea ben novantaquattro restavano fuori”, ha evidenziato in numeri Croatto sottolineando la bassa percentuale di coloro ai quali veniva data la chance di restare nel mondo accademico, soltanto un 6% di studenti specializzati. Vincenzo Mancuso (consigliere Cgie-Germania) ha parlato di “malattia da eradicare” riferendosi ai discorsi sul precariato: “serve non solo fermare l’emorragia dell’emigrazione ma favorire un ritorno, a qualsiasi livello di preparazione, evitando di usare l’espressione classista di cervelli in fuga”, è stata la riflessione di Mancuso. Isabella Parisi (consigliera Cgie-Germania) ha rievocato l’idea della libera circolazione dei cittadini e si è chiesta quale ruolo debba avere in futuro il Parlamento europeo per un rispetto concreto dei cittadini a livello sociale e lavorativo e per non essere più considerati come migranti in territorio comunitario. Su questo tema specifico è intervenuta Eleonora Medda auspicando la presenza futura di un Commissario europeo o di un’Agenzia europea competente sul fronte migratorio comunitario. Silvia Alciati (consigliera Cgie-Brasile) ha auspicato una maggiore sensibilizzazione della rete consolare su questi aspetti degli incentivi e degli sgravi fiscali magari inserendo sui loro siti internet le informazioni utili. (Simone Sperduto/Inform)

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