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Il Made in Italy tra sostenibilità, online fashion e abbigliamento in affitto


Rome Business School, istituto di formazione post-universitaria che fa parte del network Planeta Formación y Universidades creato nel 2003 da De Agostini e dal Gruppo Planeta, ha pubblicato la ricerca “I nuovi trend della moda in Italia: il Made in Italy tra sostenibilità, online fashion e abbigliamento in affitto”, a cura di Giuliana Baldo Chiaron Program Director dello Specialized Master in Fashion Management di RBS, Michela Bonafoni, Program Director del Master in Fashion and Luxury Management di RBS, Valerio Mancini, Docente e Direttore del Centro di Ricerca di RBS, Tatiana Valoira, Docente di Branding, Marketing e Luxury Marketing presso EAE Business School.

La ricerca analizza le abitudini dei consumatori italiani e le tendenze del mercato della moda in Italia, evidenzia il riconoscimento a livello mondiale del Made in Italy, studia il fenomeno degli acquisti online, la diffusione della pratica dell’“abbigliamento in affitto”, e infine la crescente sensibilità dei consumatori nei confronti dell’ambiente e della sostenibilità.

In Italia, dopo lo shock iniziale provocato dalla pandemia, l’intera industria della moda già nei primi 3 trimestri del 2021 registrava numeri positivi: il fatturato 2021 è stato di 64 miliardi di euro (-5% rispetto al 2019) che, includendo i settori collegati (occhialeria, gioielleria e cosmesi), sale a 83 miliardi. Non solo l’Italia, anche a livello europeo le stime del consumo di abbigliamento e calzature continuano ad essere in crescita: nei mercati UE si prevede in aumento del +7% per l'anno 2022, mentre per gli anni dal 2023 al 2025 la crescita media stimata è del 4,73% annuo.

L’impatto della pandemia: moda e consumi in Italia regione per regione

Nel corso del 2020 a livello di consumi, la spesa media mensile delle famiglie residenti in Italia è diminuita del -0,9% rispetto al 2019 (2.328 euro mensili), il calo più notevole dal 1997 (ISTAT). La diminuzione ha investito soprattutto: ricreazione, spettacoli e cultura (-26,4%), trasporti (-24,6%) e abbigliamento e calzature (-23,3%), mentre sono rimaste sostanzialmente invariate le spese per alimentazione, abitazione, acqua ed elettricità. Il 45,5% degli italiani ha limitato l’acquisto dei beni non di prima necessità: nel Nord questa percentuale è pari al 39,6%, al Centro è il 42,1% e nel Mezzogiorno il 56,8%.

In uno studio condotto da Confimprese-Ey, sull’andamento dei consumi nei settori ristorazione, abbigliamento e non food si evidenzia una fase ancora in recupero rispetto al periodo pre-pandemico con una chiusura nel mese di novembre 2021 a -13% su novembre 2019 e a -24% sul progressivo anno vs 2019, anno di riferimento per tracciare il benchmark a causa delle restrizioni iniziate a novembre 2020. Il trend peggiore è per abbigliamento/accessori -21%, recupera la ristorazione -12%.

Nelle aree geografiche è sempre il Sud a soffrire meno, sia nel mese (-5%) sia nel progressivo anno 2021 (-15%) vs 2019. L’area Centro chiude novembre a -13% e il progressivo anno vs 2019 a -24%. Un andamento simile si riscontra al Nord-ovest rispettivamente a -13% e -26%. Fanalino di coda il Nord-est con un mese di novembre a -20% e un progressivo anno a -31%. Nell’analisi del mese di novembre 2021 vs novembre 2019 solamente la Puglia registra un trend positivo (+6,5%). Tra le peggiori troviamo Veneto (-22,9%), Umbria (-21,4%) e Marche (-21%).

L’analisi per città rileva il primato di Napoli che chiude novembre 2021 vs novembre 2019 a +5% e si aggiudica il primo posto tra le città prese in esame. Le altre città registrano invece trend negativi rispetto al medesimo arco temporale di riferimento: Roma (-11%), Milano e Palermo (-13%), Torino (-19%), Genova e Firenze (-21%). I valori peggiori si registrano nell’ordine a Bologna (-33%), Verona (-30%) e Venezia (-27%).

I consumatori cercano la sostenibilità: tra brand activism e abbigliamento green

I dati evidenziano che gli italiani sono sempre più interessati a comprare da brand che dimostrino il loro impegno verso la salvaguardia dell’ambiente acquistando prodotti che abbiano un minore impatto sul pianeta. Secondo il “Report 2020 sulla moda consapevole” (piattaforma Lyst in collaborazione con l’associazione Good On You), le ricerche di pelle vegana sono in continuo aumento (in un mese superano le 33mila unità), così come le ricerche di tessuti ecologici come cotone organico e derivati dalla plastica riciclata sono incrementate rispettivamente del 23% da novembre 2019 e del 35% dal gennaio 2020. Sono al contrario in continuo calo le ricerche per pelle e pelliccia (-3,5% e -8%).

In un sondaggio pubblicato su Statista, il 21% degli intervistati ha affermato di aver ridotto gli acquisti di abbigliamento sulla base di motivazioni etiche, il 16% degli intervistati ha dichiarato che vorrebbe acquistare capi “cruelty-free” e vegani ma solo il 7% ha ammesso di aver già acquistato secondo questi criteri. Gli ostacoli all’acquisto di abbigliamento sostenibile risultano essere: la difficoltà di discernere i marchi realmente eco-friendly, i prezzi alti e la difficoltà a reperire tali marchi.

In Italia, quando si parla di moda sostenibile i prodotti più ricercati online sono le sneakers e il denim, che crescono rispettivamente del +142 e +108% nel 2020. Da sottolineare un particolare trend: in aumento l’interesse per i gioielli riutilizzati (+90%) e i gioielli etici (+60%). Sono soprattutto le donne a cercare sui motori di ricerca “moda sostenibile” (nel 45% dei casi la ricerca è effettuata da una donna), mentre gli uomini ricercano più i capi “gender fluid”, dove spiccano le gonne plissettate e borse da passeggio, una tendenza legata anche alla sempre maggiore attenzione dei consumatori verso l’industria dello spettacolo e le celebrità nel campo per esempio della musica.

Secondo un sondaggio di Sprout Social, il 66% dei consumatori italiani vorrebbe che i brand di moda prendessero posizione sui temi sensibili e più del 58% ritengono importante che lo facciano sui social media. Inoltre, il 39% considera che i brand siano efficaci quando annunciano donazioni a favore di cause specifiche e il 37% supporta il fatto che i brand contribuiscano a incoraggiare i propri followers a compiere azioni a sostegno di cause (principalmente cambiamento climatico, disuguaglianze, estremismo). Il marchio italiano meglio posizionato in tal senso risulta essere Benetton Group S.r.l., che si è classificato al 5° posto del Sustainable Cotton Ranking 2020 poiché, secondo gli intervistati, meglio tra tutti fornisce informazioni su materiali ed energia rinnovabile utilizzati nella produzione.

Online shopping e nuove tendenze, come si vestono gli italiani?

La pandemia ha potenziato esponenzialmente lo shopping online non solo in Italia ma in tutta l’UE: secondo dati del 2021, i consumatori più attivi sono gli svedesi (72%), i polacchi (70%), i francesi (65%), seguiti da italiani (63%), britannici (57%) e romeni (51%). A livello internazionale, la propensione ad acquistare abbigliamento in rete ha raggiunto un tasso storico del 43%.

Nel caso dell’Italia, secondo Idealo - una delle principali piattaforme di shopping e comparazione prezzi a livello europeo (2020) - l’85% degli acquirenti digitali italiani effettua in media almeno un acquisto online al mese, un valore di 5 punti maggiore rispetto a quello registrato nel 2020. Inoltre, dalle stime del RetailX Consumer Observatory 2021, visitare siti di e-commerce o fare shopping online è tra le attività più svolte dagli italiani online (81,5%), insieme a guardare video (93%), ascoltare musica (61%), e giocare (81%).

Gli articoli più cercati online dagli stessi, oltre all’elettronica, sono quelli appartenenti al comparto “Moda e Accessori” (+44,9%). Nell’ultimo anno, secondo un report della Federazione Moda Italia e World Capital, gli italiani hanno comprato soprattutto maglieria (51,3%), cappotti e piumini (39,3%), scarpe da donna e abiti (35,9%), pantaloni (32,1%), giubbotti, tute (15,8%).

Nello specifico, il ritorno al lavoro in presenza ha particolarmente influito sulle ricerche di moda in tutto il mondo (Lyst): si è vista un desiderio maggiore verso abiti business-casual, rilassati, smart (in particolare jumpsuits, pantaloni wide-leg, capi oversize). Durante l’estate invece, è stato registrato un enorme incremento di ricerche per abiti da party, scarpe platform (+233%) e minigonne (+221%). A livello internazionale, infine, si è registrata una specifica tendenza, strettamente legata alla vaccinazione anti-covid-19: “vaccine top”, maglie per facilitare l’iniezione, è stata una delle ricerche più cliccate sui motori di ricerca.

Abbigliamento in affitto: moda o tendenza accettata?

Secondo il Boston Consulting Group, il business globale dei prodotti di “seconda mano” aumenterà tra il 15% e il 20% fino al 2026. È già oggi possibile vedere i grandi marchi, come Louis Vuitton, Gucci, Chanel, attivi su piattaforme legate al riutilizzo, con l'obiettivo di avvicinarsi ai consumatori più giovani e con meno potere di spesa. I dati ci dicono che il mercato mondiale dell'usato ha triplicato i suoi numeri dal 2012 al 2020, anno in cui ha raggiunto i 33 miliardi di dollari. Secondo le previsioni, dal 2020 al 2024 il volume degli affari potrà quasi raddoppiare.

Allo stesso tempo, si sta diffondendo un ulteriore fenomeno, la “moda in affitto”, affermandosi come nuova tendenza. Secondo un rapporto Eurispes, questo settore raggiungerà infatti entro il 2023 la cifra di 1,9 miliardi di dollari di fatturato proprio nel nostro paese. Oggi riguarda soprattutto i giovani: per Tatiana Valoira, tra gli autori della ricerca, più bassa è la fascia d'età, maggiore è la volontà di acquistare prodotti di seconda mano.

Se a livello mondiale nel 2016 solo il 27% degli under 24 comprava capi o accessori usati, oggi lo fa il 40%. Questa cifra scende al 30% nella fascia di età 25-37 anni e al 20% sopra i 38 anni. Il motivo è duplice: da un lato i giovani hanno meno potere d'acquisto e, dall'altro, sono pienamente consapevoli dell’impatto negativo dell'industria tessile sull'ambiente. Nel caso dell’Italia, i consumatori che noleggiano capi di lusso dichiarano di farlo per avere la possibilità di indossare capi firmati almeno una volta nella vita ad un prezzo notevolmente più basso (15%) e perché apprezzano il valore affidato ai prodotti nel tempo breve del loro utilizzo (67%).

Se si pensa che, secondo uno studio realizzato in 20 paesi da “Movinga”, circa l’80% dei vestiti che vengono acquistati rimane negli armadi e non viene mai utilizzato e che il 36% degli abiti ha una vita media inferiore ai 160 utilizzi, si comprende il perché di tali statistiche e motivazioni.

Quale futuro per il Sistema Moda italiano?

La pandemia ha fatto emergere una maggiore sensibilità verso l’importanza di fare scelte più sostenibili anche in ambito fashion. Per Valerio Mancini, “il desiderio di tornare ad un’accettabile normalità, di incontrarsi, di mostrarsi con nuovi outfit che rispecchino in libertà il proprio mood, ora si unisce ad una maggiore sensibilità per il rispetto dell’ambiente”. Cresce infatti la pratica del noleggio dei capi, che, fenomeno utile anche ai fini del raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’ONU per una drastica riduzione delle emissioni di CO2.

La ricerca conclude affermando che si attende un ritorno ai livelli pre-crisi nell’arco di 12-18 mesi (Medio Banca). Oggi si osservano cambiamenti strutturali nella società, nuovi trend e interessi che richiedono, tra le varie, un nuovo rapporto brand-consumatore. Termini come “Digital fashion”, “Conscious” o “Genderless” non saranno soltanto tra i cultural sentiment più ricercati sui motori di ricerca e all’interno dei negozi fisici, ma veri e propri concetti chiave che caratterizzeranno sempre più l’intero comparto. (aise)

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