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Educatore a Parigi: Andrea Zendron si racconta a Mondo Trentino

Educatore specializzato sull'autismo, Andrea Zendron ha lasciato Trento per trasferirsi a

Cergy nei pressi di Parigi. Ad intervistarlo è stato Mondo Trentino, portale dell'Ufficio emigrazione della Provincia autonoma di Trento che raccoglie le storie di vita di giovani corregionali all’estero.

Di seguito il testo dell’intervista.

D. Chi sei e da dove vieni?

R. Mi chiamo Andrea e sono di Trento.

D. Dove vivi ora e cosa fai?

R. Vivo a 40 km da Parigi e lavoro come educatore specializzato per persone affette da autismo.

D. Quando hai iniziato a viaggiare e a uscire da Trento? Per quali ragioni?

R. Il servizio militare nel corpo degli alpini già mi aveva dato le basi della convivenza fuori le mura di casa, poi in seguito mi sono trasferito a Milano per iniziare la carriera universitaria in scienze dell'educazione nel settembre 2004.

D. Dov’è nata la tua predilezione per il lavoro nel sociale?

R. Ho una cugina portatrice di handicap leggermente più grande di me. Spesso giocavo con lei e i miei familiari mi dicevano sempre che avevo un dono nel relazionarmi con lei. Poi per caso alla piscina di Gardolo mi colpì un volantino che proponeva di fare volontariato con La Rete. La cooperativa offriva l'ingresso gratuito ai volontari che nuotavano a fianco dei ragazzi in situazione di handicap e che li aiutavano durante gli spostamenti negli spogliatoi o in doccia. Fu così che tutti i sabati iniziai a fare volontariato con loro. Da subito la loro gioia mi contagiò e vista la mia statura e forza mi affiancarono ad un ragazzo autistico. Da allora ho voluto scoprire di più riguardo all’autismo: come relazionarmi meglio con lui e come aprire questo grosso vaso di Pandora.

D. Qual è stato il tuo percorso formativo e di studi?

R. Ho frequentato l'Istituto tecnico commerciale Tambosi. Volevo fare il programmatore. Tentai di fatto anche ingegneria delle telecomunicazioni ma ben presto capii che mi mancavano le basi di un istituto industriale o più precisamente quelle scientifiche. Iniziai a lavorare come impiegato contabile, prima per un magazzino di frutta in seguito per un noto panificio di Trento. Il lavoro mi piaceva ma alla fine la parte contabile che più mi interessava la gestivano altri. Mentre al programma gestionale potevo portare sì modifiche di miglioramento ma i riconoscimenti ricadevano solo sulla società fornitrice del software. In quello stesso periodo un mio amico pieno di entusiasmo per l'esperienza fatta in un soggiorno estivo con ragazzi disabili mi propose di andare a studiare scienze dell'educazione con lui. Per me fu ovvio dirgli di si.

D. Come ti sei trovato nel primo periodo in Francia lavorando nelle famiglie di bambini autistici?

R. Molto bene. L'ambiente è molto più rilassato e meno articolato che in una struttura. Soprattutto perché la famiglia può notare fin da subito l'efficacia del tuo intervento sul bambino e i progressi costanti. Dovendo insegnare a parlare al bambino con difficoltà di comunicazione a volte il mio accento ha fatto nascere qualche perplessità ma tra il non parlare per nulla ed il riuscire ad esprimersi, beh…. meglio un’intonazione diversa. In seguito poi comunque, con il logopedista e la scuola, nel caso in cui il bambino possa accedervi, avrà modo di recuperare la buona fonologia e le basi di cultura francese mancanti del mio operato.

D. Quali sono le politiche dello Stato nei confronti dei bambini autistici?

R. Come anticipato, anche se la scuola è un diritto per tutti i bambini, non è scontato che tutti vi possano accedere o comunque che possano completare gli studi almeno fino ai 16 anni. Purtroppo, sia mentalmente che per scarsità di formazione degli insegnanti e degli accompagnatori, la scuola francese non è preparata ad accogliere i bambini affetti da autismo specie se hanno anche disturbi di comportamento. Nella maggior parte dei casi frequentano il ciclo della materna, dai 3 ai 6 anni, e poi inizia la battaglia della famiglia con l'equipe scolastica che, di fatto, fa pressione perché il bimbo non venga scolarizzato ma venga affidato a istituti specifici per disabili oppure, nella buona sorte che si sia liberato un posto, viene inserito nella classe speciale per disabili. Io credo fortemente nell'inclusione scolastica perché credo che è da un bambino “pseudo” normale che il bimbo autistico può apprendere meglio a socializzare. Ovviamente non ci si deve basare sul programma della scuola ma è dell'insegnante di sostegno il compito di adattare il programma per quel bambino. Ma proprio qui sta il punto. In Francia le persone che affiancano a scuola questi bambini non sono persone formate sull'autismo né, a dire il vero, su qualsiasi forma di disabilità. Sono persone che agiscono sicuramente con il cuore e in funzione di ciò che dice l'insegnante della classe. A quel punto se la maestra dice all’insegnante di sostegno di fare uscire il bambino perché con il suo continuo dondolio o vocalizzo disturba la classe ....beh sicuramente lo farà uscire invece di trovare metodi educativi per ridurre il comportamento problematico. Inoltre in diversi casi le ore di presenza in classe dei bambini autistici vengono già a priori ridotte, per cui invece di 24h settimanali vengono accolti 12h o massimo 10h.

Mi ricordo di un bambino, con cui lavoravo, la cui mamma era afflitta perché avevano concesso a suo figlio solo 2h a settimana di scuola. Tutti i giorni 30 min. Completamente assurdo. Ciò creava più eccitazione al bambino (lui stesso preparava lo zaino la sera prima per andare in classe) che beneficio. Andava giusto il tempo per salutare i compagni ma poi non capiva perché tutti entravano in classe e lui ritornava a casa. Ovviamente anche questi bambini hanno bisogno di educazione e se non viene affidata alla scuola allora ricade sulla famiglia. E tra educatori, psicologi, logopedisti, ergoterapisti e attività di svago varie come ippoterapia, piscina ecc ...beh i costi sono molto elevati. Fortunatamente in questo lo Stato viene incontro. Nella maggior parte dei casi rimborsa il 50% delle varie prestazioni professionali ma ovviamente dipende dal reddito e comunque inizialmente tocca alla famiglia pagare tutte le spese. Ciò comporta che se la famiglia dispone di un budget basso (spesso a causa della fuoriuscita dal sistema scolastico del figlio, uno dei due genitori non lavora) la possibilità di poter accedere ai professionisti è ridotta.

D. Nel tuo lavoro quali sono i punti di forza e quali i punti deboli?

R. Adoro il mio lavoro. Intervengo sia a scuola come sostegno che soprattutto a domicilio. Mi permette di lavorare in equipe e di confrontarmi quindi con i vari psicologi, maestre della scuola ma allo stesso tempo di mantenere la mia indipendenza in materia decisionale sul ragazzo che seguo. I punti deboli sono quelli affettivi. Quando, o per età del bambino o per cambio di residenza dei genitori, un rapporto lavorativo termina, il mio coinvolgimento è tale che il distacco emotivo è difficile e in seguito devo trovare una nuova famiglia che possibilmente abiti non troppo lontano da me e in cui il nuovo ragazzo abbia dei buchi nella giornata perfettamente combacianti con i miei. Inoltre.. beh vorresti poter fare di più. A volte basta che solo alcune persone che ruotano attorno a quel bambino non seguano alla lettera le tue indicazioni e dei comportamenti inadatti riappaiono, per cui mesi del tuo lavoro vanno in fumo. E in altri casi anche se il tuo operato è corretto alcune volte funziona a meraviglia e altre volte si incontrano più difficoltà.

D. Vuoi raccontarci un caso recente che riguarda il tuo lavoro?

R. Si, certo. Vi parlo del mio più grande rimpianto e allo stesso tempo successo. Ho seguito una bimba fin da quando aveva 2 anni e mezzo. L'ho accompagnata dalla “piccola classe” materna fino al “terzo” anno, più un anno di “mantenimento” nella “grande sezione”. L'ho conosciuta che non parlava, era chiusa nei suoi 2 o 3 giochi ripetitivi. Non aveva alcuna forma di comunicazione o sguardo verso l'adulto e l'unico modo per manifestare i suoi bisogni era attraverso grosse crisi di pianto. Dopo 2 anni di rieducazione continua a casa era pronta per la scuola materna quindi l'ho seguita durante il suo percorso. I 2 minuti massimo che aveva di tolleranza per stare seduta e in silenzio sono aumentati ad almeno 40 ed inoltre ha acquisito delle buone capacità di ascolto, di comprensione e di interazione con i compagni e la maestra. Ero quindi convinto che alla riunione di fine anno tutta l'equipe educativa, dopo aver elogiato i progressi della bimba, sarebbe stata a favore del passaggio alla scuola elementare e invece no. Questo perché alle elementari si inizia a leggere e poi il ritmo è molto più elevato.

La bambina non avrebbe potuto fare pause di gioco, ecc. Ovviamente concordavo con loro. Sapevo benissimo che questa bimba non avrebbe potuto seguire lo stesso ritmo dei compagni, ma sarebbe stato appunto compito mio calibrare il programma della maestra rispetto alle capacità della bimba e riadattare a lei i compiti o trovare nuove soluzioni di apprendimento se troppo difficili per lei. Finalmente la famiglia si fa convincere che il meglio per la bimba è quello di un orientamento per una classe "speciale" (dove ci sono massimo 8 bambini tutti con disabilità di diverso grado e specificità), se non addirittura un istituto medico educativo dove ci sono almeno 20 o 30 bambini di diversa disabilità, con un educatore. La bimba dall'anno successivo inizia quindi a frequentare questa classe dove purtroppo la maestra, pur essendo specializzata nella disabilità, non sa come interagire con lei e poi ha anche gli altri 8 bambini da seguire. Le mie ore con lei si riducono quindi al solo mercoledì mattina a domicilio e inizio a notare le prime regressioni (per la mancata stimolazione continua) e le nuove stereotipie (apprese dagli altri bambini disabili che ora frequenta).

A fine anno scolastico la maestra comunica alla famiglia che non sa più come aiutare questa bimba. Pertanto dal luglio scorso chiedono a me di aumentare le ore con la bambina, riducendo per l'anno 2021-22 le ore di presenza in classe. Ad agosto c'è stata la pausa estiva ma già dopo aver lavorato con lei 8 ore a settimana tutto settembre ha finalmente ripreso il livello di conoscenza a cui l'avevo portata 2 anni prima e ha iniziato a leggere. Mi chiedo quale sarebbero state le sue competenze se avessimo potuto continuare il percorso scolastico normale senza alcuna interruzione.

D. Ti sei trasferito in Francia grazie ad un legame sentimentale. Quali sono state le conseguenze di questa scelta?

R. Dopo diversi anni di convivenza in Italia assieme alla mia compagna francese di allora abbiamo valutato i pro e i contro di creare una famiglia in Italia o in Francia. Infine, sia per opportunità lavorativa che per gli aiuti alla famiglia, abbiamo optato per il trasferimento oltralpe. Effettivamente dopo un primo tempo di ambientamento appena ho iniziato a cercare ho trovato nella stessa settimana quattro lavori con quattro famiglie differenti e a fine mese già ne avevo sette. Durante una di queste esperienze lavorative ho avuto l'opportunità di formarmi in psicologia secondo il metodo ABA, che ora utilizzo quotidianamente per aumentare negli autistici l'autonomia e la capacità di comunicazione. Sicuramente vivere all'estero ti mette a confronto con altri tipi di pensiero. Scopri che i grossi problemi dell'Italia in realtà li trovi anche fuori seppur spesso gestiti meglio. Tipo la burocrazia. Anche qui è molto lenta ma molto più formale e rigida. Se ci vuole quella “carta” per poter fare una certa cosa o ottenere un certo diritto...o hai quella “carta” oppure niente, non puoi ottenere quella cosa. Di conseguenza poi se il tuo dossier è completo e accettato allora, magari soprattutto all'inizio ci vorrà del tempo e molta pazienza, ma una volta entrato nel sistema le cose funzionano e con meritocrazia.

D. Com’è vivere in Francia, ti senti ben integrato?

R. Mi sento bene, ma integrato è una parola grossa. Forse un fattore limitante è che non abito a Parigi e lavorando autonomamente, sono fuori dal possibile ampliamento di conoscenze con colleghi o compagni di università, ecc. Ovvio, ho conosciuto delle persone ma riuscire a entrare nella loro sfera più intima e condividere veramente qualcosa con loro al di fuori dell'ambito lavorativo è molto complicato. In compenso ho la famiglia di mia moglie, venezuelana. Con loro è molto più semplice. Per trovarsi a bere qualcosa insieme o anche semplicemente passare per un saluto non serve consultare le agende e fissare un appuntamento. Si suona al campanello e si sale.

D. Hai degli hobby o delle passioni che coltivi nella tua vita?

R. Mi piace stare in compagnia e possibilmente sempre per un bene comune come il sociale. Quindi da quando sono qui in Francia mi sono subito iscritto nel gruppo alpini di Parigi. Ora con il Covid siamo rimasti fermi ma solitamente organizziamo almeno 2 feste all'anno, più la trasferta in Italia per l'immancabile adunata. Inoltre facciamo un sacco di volontariato sia in Italia che in Francia. Ora il nostro più grande progetto è la riqualificazione e la valorizzazione del cimitero italiano militare che sta a Soupir (200 km da Parigi). Tre anni fa abbiamo tenuto lì il raduno europeo delle truppe alpine italiane e abbiamo depositato una lapide in marmo di Carrara a forma di cappello alpino. Con l'aiuto anche del Consolato Italiano abbiamo riqualificato le tombe e la casa del guardiano. Ora stiamo terminando i lavori di costruzione di un Museo della Guerra per ricordare i tanti morti di entrambe le parti. Ma soprattutto i nostri ragazzi, morti per la nostra libertà, al tempo partiti alleati della Francia nella prima guerra mondiale. Infatti siamo fierissimi di poter inaugurare nel 2023 il primo Museo della Guerra italiano all'estero.

D. Vuoi lasciare un messaggio alla Community di MondoTrentino?

R. Un caro saluto a tutti. Non scordare mai le proprie origini e tradizioni. Accettare di mescolarsi e farsi coinvolgere dal paese di accoglienza”. (aise)


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